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Presentazione del libro di Eva Klotz “GEORG KLOTZ”

Circolo Michael Gaismayr-Gesellschaft
Presentazione del libro di Eva Klotz “GEORG KLOTZ”
TRENT, Sa. 15.12.12, ore 16.00, “Sala Rosa” del Palazzo della Regione Autonoma
Relazione di Stefan Frenez, Altobmann e membro del Direttivo del Circolo Gaismayr

Sono da sempre convinto della fondamentale importanza della ricostruzione dei rapporti intertirolesi, dopo decenni di incomprensioni, diffidenze e ostilità reciproche, ai fini di un progressivo smantellamento dell’artificioso e antistorico “muro” di Salorno, eretto in parte dagli opposti nazionalismi, ma dovuto soprattutto alle conseguenze dell’illegittima occupazione italiana dell’intero Sudtirolo storico dal Brennero a Borghetto, del fascismo e della gestione filo-romana della Regione da parte delle giunte regionali dominate dalla Democrazia Cristiana degli Odorizzi e dei Piccoli.
La traduzione del libro di Eva Klotz in lingua italiana è senz’altro un impotante strumento in  questa direzione.
Lo ho comperato a Bolzano all’inizio del 2004, contento di poter finalmente conoscere meglio la figura di un protagonista della storia della nostra terra che è per me un mito dalla mia più verde giovinezza. Mi limiterò solo a qualche breve impressione personale.
Fin dai miei anni alle medie inferiori, sue foto in bianco e nero e a colori erano attaccate sull’armadio guardaroba di famiglia, che si prendeva un’intera parete della stanza mia e di mio fratello. Col trascorrere del tempo, nuove foto vi comparvero e si moltiplicarono a vista d’occhio: foto e posters di Che Guevara, del maggio francese, del Vietnam e delle altre guerre di liberazione dal colonialismo e dall’imperialismo in tutto il mondo. Nel bel mezzo di questa grande ameba in espansione di immagini, continuavano a campeggiare indisturbate, anzi, perfettamente integrate e pertinenti, le foto di Georg Klotz, protagonista di una disperata, ma lucida resistenza ad un’occupazione straniera colonialista nel cuore delle Alpi, nel cuore dell’Europa. Un personaggio che era forse all’inizio, per me allora poco più che bambino, ancora un po’ una specie di “Zorro” tirolese, ma poi ben presto profilatosi come autentico eroe popolare, per me ormai fattomi ragazzo e divenuto giovane militante antiimperialista. Incredibile e quasi inspiegabile, per una parte della mia stessa famiglia, pur di tradizioni antifasciste, ma come tutte bombardata in quegli anni dalla martellante propaganda nazionalista antitirolese della stampa italiana e, peggio ancora, di quella locale. Incomprensibile per molti miei compagni di lotta, pronti a mobilitarsi giustamente per la libertà dei popoli nei più remoti angoli del pianeta, ma ottusamente sordi, ciechi e muti di fronte al dramma storico e alle istanze di libertà della nostra gente.
Nell’introduzione, ho seguito con trepidazione i passi di Eva “sulle tracce del padre”, come lei stessa la intitola, lungo i sentieri impervi percorsi da Georg Klotz nella sua fuga, gravemente ferito nel proditorio tentativo di assassinio, purtroppo riuscito nei confronti di Luis Amplatz, ma fortunosamente fallito contro Klotz stesso, perpetrato dall’infame Christian Kerbler, per conto e al soldo dei servizi segreti italiani.
Colgo qui l’occasione per lanciare la proposta di organizzare, come Circolo Gaismayr, una “Wanderung”, un’escursione storica in compagnia di Eva e di altri patrioti, lungo la via di fuga di Klotz dopo l’attentato, con l’apposizione di una targa commemorativa in tedesco, italiano e ladino, che assumerebbe particolare pregnanza culturale e politica proprio in quanto installata da Welsch-Süd-Tiroler.
Leggendo poi il primo capitolo, pur condividendone la ricostruzione storica e gran parte dei contenuti e dei sentimenti lì espressi, devo dire di essere sobbalzato più volte sulla sedia di fronte al marcato “Salornismo” emergente in quelle pagine. Se nell’edizione in lingua italiana il testo è rimasto lo stesso, penso che diversi passi di questo capitolo faranno sobbalzare più volte anche molti amici di qui che leggeranno il libro. Un tema sempre molto scottante, e per noi Tirolesi trentini particolarmente doloroso e a tutt’oggi tema di forte confronto con i fratelli a nord di Salorno, ma che spero possa essere col tempo rivisto e storicizzato grazie alla progressiva ricostruzione dei legami storici spezzati dal nazionalismo italiano e dal pangermanesimo e alla luce di una sempre più stretta collaborazione e condivisione di analisi, visioni e intenti tra Tirolesi di tutte e tre le parti del Paese.
Il susseguirsi di eventi e scelte, di successi e delusioni nella vita straordinaria di Georg Klotz ricostruito nei seguenti capitoli prende come un romanzo. Grazie ad una scrittura coinvolgente e senza cedere a tentazioni letterarie o sentimentali, mantenendosi anzi rigorosamente fedele ai fatti storici, Eva Klotz sa trasmetterci con la sua narrazione eventi cruciali e sentimenti profondi insieme, il grande amore e l’ammirazione per il padre, i valori di una vita interamente sacrificata ad un ideale.
E proprio qui volevo arrivare.
Sepp Kerschbaumer, Georg Klotz e i loro compagni di resistenza più noti e meno noti hanno ideato, organizzato e condotto per anni una lotta impari e dolorosissima contro l’arroganza, la falsità e la violenza di un paese straniero occupante e contro le esitazioni e l’opportunismo di chi a loro giudizio nella Heimat non faceva abbastanza per il proprio popolo. Intorno a quest’ultimo giudizio si discuterà probabilmente ancora a lungo. Quel che è certo è che di fronte a una situazione di estremo pericolo per la loro, lasciatemi dire per la nostra Terra, hanno scelto di reagire, e al genocidio culturale voluto dall’Italia postrisorgimentale e fascista, ma tentato anche dall’Italia repubblicana e democratica con la politica di italianizzazione al 51%, al lento ma inesorabile strangolamento, quasi una garrota identitaria, hanno risposto nell’unico modo loro rimasto per denunciare la questione tirolese all’opinione pubblica internazionale. “Es blieb uns keinen anderen Weg..”, “Non ci restava altra via..”. Una scelta disperata ma lucida, dicevo prima, pagata con la tortura, con anni di galera e in alcuni casi con la stessa vita. Il loro obiettivo di allora, lo stesso di oggi per molti di noi indipendentemente dalla lingua parlata, la liberazione del Paese dall’occupazione straniera, non è stato (ancora) raggiunto. Io sono tra coloro che ritengono che comunque, senza la loro drammatica scelta, che ha avuto il potere di portare la situazione del Tirolo occupato all’attenzione dell’ONU, la realtà della nostra Terra sarebbe oggi ben tristemente diversa, e non potremmo nemmeno sognarci questa nostra attuale Autonomia, ancora così insufficiente eppure ad un tempo tanto celebrata e sempre minacciata. La questione tirolese sarebbe rimasta, come a Roma si sarebbe voluto, una “questione interna” dello stato italiano. E la nostra attuale Provincia Autonoma di Trento sarebbe forse oggi una provincia povera del “Grande Veneto”.
Recentemente, e poco prima di dover dimettersi, il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano Monti, dopo aver diligentemente lavorato, nel corso del suo intero mandato, a corrodere e salassare sul piano finanziario le nostre Autonomie, con buona pace del tanto acclamato Accordo di Milano (tentativo all’epoca anche intelligente di limitare i danni, ma privo di prospettive di fronte ad una controparte da sempre infida), ha pensato bene, di fronte al rischio di perdere una produttiva vacca da mungere a causa delle crescenti tendenze separatiste, di tentare un affondo anche sul piano politico internazionale, rispolverando il concetto di “questione interna dello stato italiano” a proposito della questione tirolese.
“Questione interna italiana”?!? Questioni interne dello stato italiano saranno caso mai quelle mai risolte e congenite della mafia, della corruzione, dell’evasione fiscale, una classe politica ormai mediamente inetta e parassitaria, una legge elettorale definita “porcata” dai suoi stessi redattori, e altre magagne endemiche tipicamente italiote! Noi, indipendentemente dalla lingua parlata, non siamo e non saremo mai una “questione interna italiana”: noi siamo Tirolesi, prigionieri di uno Stato straniero!
Come i buffoni demagoghi e affaristi senza scrupoli della destra politica populista negli ultimi vent’anni, che oggi hanno ancora il coraggio di ripresentarsi sulla scena politica italiana, i seriosi professori milionari della tecnocrazia economico-finanziaria, quando messi alle strette e senza risorse e spazi di manovra, tornano ad alimentare demagogici malumori nell’opinione pubblica contro i presunti privilegi delle Autonomie Speciali.
Le nostre secolari libertà e i diritti riconquistati a duro prezzo nel corso degli ultimi decenni si trovano in una situazione di rischio senza precedenti, almeno da dopo l’attuazione del “Pacchetto”. Dalla discussione intorno ad un eventuale Terzo Statuto di Autonomia e ad un’Autonomia integrale proiettata verso l’Euregio tirolese si viene oggi respinti su posizioni difensive.
La nostra realtà di relativo benessere, frutto sia della nostra quasi millenaria capacità di autogovernarci e di accrescere il bene comune, sia delle nostre Autonomie tenacemente riconquistate, fa oggi gola ad uno stato in crisi non come modello da imitare, ma come possibile cassaforte da svaligiare.
Il rischio di bancarotta, oggi senz’altro drammaticamente aggravato dalla crisi internazionale, è in realtà una condizione congenita dello stato italiano, uno Stato creato artificialmente dai Piemontesi, al di là degli ammantamenti ideologici, con le forche, le baionette e con stragi come quella di Bronte, costringendo insieme mediante un’annessione militare di stampo coloniale popoli diversi e culture lontanissime tra loro e praticamente inconciliabili a puro e unico vantaggio degli interessi industriali del Norditalia. Il compromesso e gli accordi con la mafia, la corruzione, gli scandali finanziari formano fin dall’inizio il tessuto connettivo di potere del nuovo stato, e le farse tragiche delle sue imprese espansionistiche sono autentici bagni di sangue e genocidi, dalle prime guerre coloniali a tutto il periodo fascista.
E noi? Noi, annessi a tradimento per concreti interessi economici, pretese necessità difensive e mistificanti motivazioni nazionalistiche da parte di un paese del genere, dell’unico stato europeo che alla fine di tutte e due le guerre mondiali si troverà dall’altra parte rispetto alle sue alleanze all’inizio delle stesse guerre? Che cosa c’entriamo noi con un Paese dove sono stati inventati la mafia, il trasformismo politico e poi il fascismo, mentre da noi, gente modesta ma solidale, ancora serenamente tirolese, si inventava e si costruiva la Cooperazione? Che cosa c’entriamo noi con quel tipo di politica, di amministrazione, con quel modo iniquo di trattare prima i propri stessi sudditi e poi i propri stessi cittadini? Perché dovremmo continuare a pagare una bancarotta ricorrente fin da ben prima della nostra annessione, bancarotta della quale non siamo responsabili e mai sanata neanche nei decenni di depredazione sistematica delle nostre risorse prima della conquista dell’Autonomia Speciale da parte nostra? In base a recenti accordi e imposizioni contribuiamo più di prima al bilancio italiano, e la nostra solidarietà concreta verso le popolazioni italiane è ben visibile e riconoscibile, e da sempre ci porta per primi con la nostra efficiente protezione civile sui teatri delle ricorrenti catastrofi in quel Paese, dovute in gran parte al grave e diffuso dissesto idrogeologico provocato dalle stesse suicide politiche del territorio lì perseguite.
Qui nell’attuale Provincia di Trento, a differenza dei nostri fratelli di lingua tedesca, che hanno comunque anche loro un bel da fare a difendersi, non abbiamo una lingua maggioritaria così “altra” da evidenziare da subito la nostra diversità, e le nostre minoranze linguistiche non bastano a giustificare da sole la nostra Autonomia, per l’odierno comune sentire in Italia: ce ne sono anche in Regioni italiane prive di Statuto Speciale, come sappiamo, e non si perde occasione di ricordarcelo da più parti.. Qui il lento genocidio culturale, il progetto di disgregazione identitaria operato dall’Italia a partire dall’occupazione, con la complicità dopo la seconda guerra mondiale di un’informazione locale totalmente filo-romana, in assenza di un vero e proprio baluardo linguistico ha avuto più presa. Solo il dimostrarci davvero e concretamente “altro” ci salverà.
La situazione è difficile, ma non mancano segnali positivi: sempre nuove Compagnie di Schützen vengono rifondate in varie nostre vallate, sempre nuovi giovani si avvicinano alla visione di una Heimat libera dall’Italia.
Dobbiamo continuare e intensificare il nostro lavoro di ricostruzione identitaria, procedendo imperterriti per lo meno sulla via dell’Euregio Tirolese e ben al di là degli Uffici-fantasma di Bolzano e di Bruxelles, creando in parallelo i presupposti concreti di una possibile indipendenza economica, politica, istituzionale, magari su modello Catalano, per essere pronti a staccarci da quella chiatta di legno fradicio che affonda e finirebbe col trascinarci con sé. In Europa, Catalani, Baschi, Scozzesi stanno preparando la propria autodeterminazione e la propria indipendenza. Qui da noi, nel 2013, la Süd-Tiroler Freiheit promuoverà un referendum per l’autodeterminazione. Giù in Italia, se non sbaglio, la regione Veneto ha inserito o inserirà nel proprio statuto il diritto all’autodeterminazione. E noi? Vogliamo continuare a piagnucolare o ricominciare a darci da fare?
Sta ad ognuno di noi accontentarsi di nostalgie e di conversazioni rassicuranti e mestamente consolatorie con amici e conoscenti di idee uguali alle nostre, o farsi portatore di queste in nuovi ambienti, piagnucolare o inveire all’osteria o trasformarne almeno un tavolo in uno Stammtisch di discussione; sta a noi rassegnarci a non capirci col compatriota di lingua diversa, o darci da fare, soprattutto i giovani, per imparare almeno l’altra lingua principale del Paese; sta a noi vivere l’esser membro di un’associazione come un tran-tran da circolo ricreativo dopolavoro o farne un centro di diffusione di idee autonomiste o indipendentiste, mimetizzarci per quieto vivere nel grigiore del conformismo della globalizzazione o farci bandiera di identità e appartenenza alla Heimat; sta a noi lasciare l’informazione sulla nostra Terra, su quanto vi si muove per la sua riunificazione da Kufstein a Borghetto, sulle sue prospettive verso una nuova Europa dei Popoli e delle Regioni ad organi di stampa e televisivi ufficiali totalmente antitirolesi e filo-romani o attivarci per la creazione di uno strumento d‘informazione periodica euroregionale e sempre più puntuale vicina alla nostra visione, diffusa almeno nelle due lingue principali della Heimat; sta a noi compiacerci in discorsi salottieri discettando di statuti con bizantinismi politichesi o prendere il coraggio di scendere tra la gente con punti di informazione, iniziative civiche, raccolte di firme, campagne attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, di riprenderci la politica invece che lasciarla in mano ai politicanti.
Sta anche ai nostri rappresentanti politici essere più coerenti, coraggiosi e determinati, ma sta ancora una volta a noi scegliercene con queste qualità.
Certo, la situazione qui nella nostra parte più meridionale del Paese è più difficile e complessa, per visioni e progetti di questo tipo, che a nord di Salorno.
Ma vogliamo continuare, come spesso abbiamo fatto, ad aspettare di vedere passivamente cosa si costruisce e si ottiene a Bolzano, per poi cercare di goderne di riflesso, o vogliamo tornare ad essere co-protagonisti di questa battaglia come già, pur in una situazione e con contenuti diversi, ai tempi dell’ASAR?
Vogliamo continuare a giocare ad essere i primi della classe in un’Italia che affonda, illudendoci magari di affondare forse per ultimi, o riconoscerci Tirolesi e Mitteleuropei e costruirci un’alternativa possibile?
Vogliamo continuare ad ingrassare pigramente, ma ancora per poco, nelle ormai precarie garanzie (e l’ossimoro è voluto) di un’Autonomia a rischio, o riscoprire finalmente un attivismo creativo per progettare un concreto scenario energetico, economico, sociale, politico e istituzionale per una Heimat che sappia tirarsi fuori dalla catastrofe italiana senza lasciarsi risucchiare nel gorgo senza fondo della sua bancarotta congenita, per avviarsi verso un’indipendenza sostenibile?
In un periodo di crisi ancora più grave, e ben più pericoloso sul piano personale, anche fisico, Georg Klotz e gli altri hanno saputo fare le proprie scelte.
A noi oggi non è richiesto né di imbracciare le armi, né di rischiare la nostra vita o la sicurezza delle nostre famiglie.
Che cosa siamo disposti, noi, oggi, se non a sacrificare, almeno ad investire, per la salvezza, la libertà e un nuovo futuro per la nostra Heimat?

Grazie per l’attenzione.

Stefan Frenez




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