Risale ai primi giorni di ottobre del 1990 - la notte del 3 vide l’unificazione della RFT alla RDT (DDR) – la predizione di Helmut Kohl che si sta lentamente avverando: quella di un sempre maggiore rilievo della lingua tedesca a livello europeo. Ne riprende la trattazione, ad oltre 23 anni di distanza, la prof Federica Ricci Garotti in tema di qualità didattico-educativa della scuola trentina, chiamando in causa l’ azione politica in ambito formativo. La docente universitaria individua nella sua dettagliata analisi punti quali l’ organizzazione scolastica, il rapporto, talvolta conflittuale, tra genitori ed insegnanti nonchè le problematiche ad essi correlate. Si sofferma poi a lungo sull’ importanza dell’ insegnamento del tedesco fin dai primi anni di scuola, di cui quella materna è parte integrante. Non evidenzia ciò che i media a livello nazionale vanno argomentando da tempo sulla relazione esistente tra il mondo del lavoro – mancante o precario – in Italia e le opportunità di occupazione ben retribuita, non disgiunte da una tutela sociale di prim’ ordine, fornite dalla prima potenza industriale del “vecchio continente” e, più in generale, nell’ area di lingua tedesca. Tratta piuttosto del privilegio del nostro territorio (con un’accezione positiva del termine), dovuto alla sua posizione geografica, oltre al fattore culturale che gli è proprio, e che in molti casi la popolazione trentina non ha saputo (o voluto) ad oggi cogliere. Nello stesso articolo la prof sopraccitata sostiene, tra l’altro, che il tedesco, per chi è parte di un contesto territoriale quale il nostro, - a diretto contatto con i popoli germanofoni della Mitteleuropa ed in esso storicamente integrato – dovrebbe essere patrimonio comune e, in tale ottica, rappresentarne la seconda lingua. Non quindi una lingua straniera, come l’inglese - attualmente di indubbia utilità - il cui approccio a livello scolastico dovrebbe essere garantito solo a partire dalla scuola media per non eccedere nell’acquisizione di nuove competenze da parte degli scolari. A questo punto sorge spontanea la domanda : cosa impedisce che nella provincia autonoma di Trento non sia conosciuta la lingua tedesca alla stregua di quanto accade con l’italiano per il gruppo etnico tedesco in provincia di Bolzano ? Una provincia, quest’ ultima, in cui fino alla fine degli anni ’90, ed oltre, una buona parte della popolazione italiana manifestava aperta avversione verso chi si esprimeva nella propria lingua madre che non fosse l’italiano. Ma coloro che rivestono il ruolo di genitori delle famiglie di allora, richiedono oggi in gran numero e a gran voce l’ iscrizione dei propri figli nelle strutture scolastiche tedesche, a partire dalla scuola materna, consci dell’ importanza della conoscenza paritetica delle due lingue. C’ è inoltre da chiedersi se è saggio e normale che la mobilità del lavoro, dove il lavoro c’è, sia ancora oggi compromessa da una barriera linguistica, di fatto esistente, tra le due province confinanti di Trento e Bolzano. L’ estenditrice dello scritto definisce il Trentino “piaccia o non piaccia, territorio mistilingue e di frontiera”. Una formula che non sembra garbare ai detrattori della lingua di Goethe, che lamentano l’eccesso nella nostra provincia di coloro che sono preposti, a livello scolastico, al suo insegnamento, e della quale mettono in dubbio l’utilità. Non appartengono certo a questa categoria gli impresari nostrani che esportano non pochi prodotti negli stati in cui si parla il tedesco e che vogliono farsi intendere nella lingua del posto, non i promotori turistici che ogni anno attendono i cittadini di quei paesi, garanti dei loro legittimi interessi.