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Notizie ed articoli

Un inno contro l’Europa.

La scuola italiana, fucina di nazionalismo durante il regime fascista e negli anni a seguire, riscoprirà dunque la sua funzione educativa in chiave risorgimentale. Questo recita la norma approvata recentemente in via definitiva dal senato  che, con conversione in legge del ddl n. 3366, rende obbligatori negli istituti scolastici di ogni ordine e grado lo studio e l’esecuzione canora del Canto degli italiani. Dettata da una “visione ottocentesca” – così definita dal presidente dell’associazione nazionale dei presidi, Giorgio Rembado, e dallo stesso ritenuta “anacronistica e sbagliata”  – una simile ingerenza del potere centrale nel delicato settore dell’insegnamento scolastico, è altresì irrispettosa della storia della nostra terra. Una terra che nel 1847, quando fu scritto l’inno di Mameli, possedeva già un proprio inno, di tutt’altro tenore per maestosità e contenuto rispetto al primo. Potranno forse riconoscersi nella  composizione patriottica di Mameli,  alunni , studenti, gli stessi insegnanti, le cui origini sono avulse dalla storia secolare del “Trentino” oppure chi è persuaso che quest’ultima abbia avuto origine nel 1918. I “Fratelli d’Italia” invocati dal padre scolopio Atanasio Canata, così come riportato da Mameli nell’omonimo inno, assurgeranno nelle aule scolastiche dello Stato ad eroici protagonisti dell’unità nazionale. Ma i nostri fratelli sono altri. Sono quelli che, volutamente ignorati dalla storiografia ufficiale, si sacrificarono  per difendere la propria patria dagli invasori, come sempre nel corso dei secoli era avvenuto. Coloro che furono perseguitati dai vincitori della prima guerra mondiale e che subirono  i soprusi dagli sconfitti della seconda.  Il nostro popolo soggiogato dallo straniero nel corso della Grande Guerra, non beneficiò dell’afflato fraterno cui si ispira l’inizio della prima strofa dell’inno  di Mameli. Il trattamento ad esso riservato indurrà  lo stesso  Ettore Tolomei, strenuo propugnatore dell’irredentismo, a prendere posizione in merito alle vessazioni subite dalla popolazione civile. In un promemoria destinato al Segretariato generale il personaggio politico scriveva, in riferimento alla popolazione di Ala, : “Si fa vieppiù diffuso quel senso di sorpresa, d’amarezza, di sconforto e disillusione, che dava loro il trovarsi considerati non come liberati ma come conquistati e sospetti.”  Più  dura la reazione del vice podestà Francesco Perotti Beno. Concluderà così il suo intervento indirizzato alle autorità militari locali: “Dovrebbe l’autorità riflettere seriamente prima di condannare una persona all’internamento. Questi fatti non corrispondono certamente né alle circostanze locali, né al senso di giustizia e di equità, né alle esigenze della guerra.”  La mancanza di solennità dell’inno d’Italia, ora ufficializzato, viene largamente compensata dalla sua retorica dozzinale. E’ un inno sui generis, caratterizzato da un profondo rancore nei confronti della Francia e dell’Austria, due Stati membri dell’ Unione Europea. Un inno che sembra voler rafforzare la propria identità di nazione, denigrandone altre. Non è rappresentativo di un legittimo sentimento di devozione verso la patria, intesa quale espressione di valori condivisi. Simboleggia piuttosto l’esaltazione di un male antico dal quale il popolo italiano non è,  in buona parte,  esente. Si chiama nazionalismo.


Marco de Tisi




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