Nei suoi periodici e monocordi interventi a difesa dell’italianità del Trentino, il signor Bonfanti se la prende ancora una volta con i nipoti e i pronipoti dei Kaiserjäger, da lui anacronisticamente definiti “austriacanti”. Definizione in uso negli anni Venti del secolo scorso, colpevoli di conservare il ricordo dei loro nonni e bisnonni assieme alla memoria dei tempi in cui la nostra Provincia era parte dell’Impero asburgico.
Nella sua lettera egli non riesce ad “afferrare la ragione” dell’”aria di orgoglio” dei discendenti delle decine di migliaia di trentini che servirono in uniforme con fedeltà e onore la loro terra e l’Impero, a costo della vita e della prigionia.
Quanti, dopo anni, tornarono infatti dai campi di battaglia della Galizia e dalla prigionia in Siberia conservarono sempre con dignità e spesso con intimo orgoglio il ricordo di quel drammatico periodo delle loro vite, pur vivendo il resto della loro esistenza nel Regno d’Italia “liberatore”.
Quei valori essi trasmisero senza enfasi ai loro figli e nipoti, che custodirono e tramandarono a loro volta quel messaggio di umanità, giunto integro fino ai nostri giorni. Esso ora sostiene le certezze di quanti nel Trentino non vogliono più permettere che la sua storia venga nuovamente manipolata come un tempo, e che le sue vicende vengano rimosse o reinterpretate in negativo, come sappiamo avvenne nel Ventennio fascista, condizionando poi nei decenni successivi la loro corretta analisi storica.
Il signor Bonfanti afferma che i figli delle nostre valli furono nuovamente “spediti” durante la seconda Guerra Mondiale con i reparti alpini dell’Armata italiana in Russia (ARMIR). Si trattò di una guerra di aggressione che finì con la terribile ritirata di 100.000 soldati e la sconfitta del Regno d’Italia, che poi scomparve dalla storia.
Ma fu guerra di aggressione italiana anche quella che dal 24 maggio 1915 al 3 novembre 1918 insanguinò le vallate del nostro Trentino. A quell’aggressione, mercanteggiata e proditoria, l’intero popolo dell’allora Tirolo meridionale fece fronte comune con enorme e documentato impegno collettivo e individuale.
E furono proprio gli Schützen, o “Sizzeri”, delle nostre vallate a sostenere i primi attacchi e poi, per più di tre anni e mezzo, a provvedere alla loro strenua difesa, accanto agli altri reparti dell’esercito austro-ungarico. Fu -guarda caso- appunto “quel corpo sconosciuto alla nostra storia” a difendere i nostri paesi e la loro gente sino alla fine.
Lo stesso Corpo per quattro secoli, dal Landlibell del 1511 in avanti, aveva garantito la protezione (der Schutz) alle nostre popolazioni, quando furono investite dalle invasioni francesi del 1703, del 1796/97, del 1799-1801 e del 1805. Per non parlare della resistenza del 1809 sotto la guida di Andreas Hofer contro i franco-bavaresi e poi nel 1813/14 contro i franco-italici.
Furono perciò, e per secoli, gli Schützen -tanto sconosciuti a qualcuno…- i primi veri “defensores patriae”, forza armata espressa direttamente dal popolo a presidiare in epoca moderna ed a proteggere per secoli, fino al 1918, la terra dei nostri padri.
Con le rifondazioni delle Compagnie, avvenute negli ultimi decenni in ogni parte del Trentino, quel patrimonio di storia e di tradizione che essi hanno rappresentato viene fatto rivivere, anche come omaggio ad un passato da non dimenticare.
A tale proposito, sarebbe anche opportuno cessare la contrapposizione di chi, usando strumenti linguistici di una storiografia vecchia di un secolo, usa ancora termini desueti, opponendo “austriacanti” e “irredentisti”, divenuti ormai da 95 anni “redenti”…
Si guardi, invece, alla nuova Europa, dove ogni territorio può ora conservare e coltivare liberamente l’intero patrimonio della sua storia e non solo qualche porzione “concessa”, dopo le contraffazioni purtroppo da noi avvenute durante i trascorsi decenni.
Luca De Marco
Panchià, 1 marzo 2013