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Notizie ed articoli

Percosse senza ritegno e torture : pratiche abominevoli

Gli episodi di brutalità che da tempo si susseguono nelle carceri italiane e  fuori di esse, turbano non poco la pubblica opinione. Manifesto è lo sdegno dei comuni cittadini, e talvolta delle istituzioni, quando tutori dell’ordine eccedono in violenza – con conseguenze talvolta funeste – nel fronteggiare individui turbolenti o ritenuti tali. Ai casi noti, tra cui la “macelleria messicana” alla scuola Diaz di Genova, la morte di Stefano Cucchi mentre si trovava in stato di arresto, quella di Federico Aldrovandi che recentemente ha interessato la cronaca nazionale, si assommano i tanti decessi in carcere “mai chiariti”  (o che forse sarebbe stato meglio non chiarire); uno dei motivi per cui Amnesty International relega l’Italia ad un livello di rispetto dei diritti umani poco o punto lusinghiero. Esistono poi casi verso i quali l’opinione pubblica italiana ha sempre manifestato, salvo poche eccezioni, incredulità o totale disinteresse.
Fatti che riportano alle torture cui furono sottoposti nei luoghi di detenzione della provincia di Bolzano gli attivisti sudtirolesi degli anni ‘60 o coloro che erano sospettati di perorarne la causa,  alle lesioni permanenti dovute alle violenze subite, ai decessi in carcere la cui causa si rifà alla formula di rito sopra menzionata. Si legge in un recente volume di 718 pagine di Helmut Golowitsch, che tratta esclusivamente delle sevizie subite dagli attivisti incarcerati, di un battibecco avvenuto il 24 novembre 1976 tra Bruno Hosp, sindaco di Ritten (Renon) e Mario Urzì, allora commissario del governo di Bolzano. Convocato Hosp in questura, per aver commemorato due giorni prima i 15 anni dalla morte del 28enne Franz Hoefler, il funzionario in questione comunicò allo stesso primo cittadino che avrebbe potuto “appendere la sua carica al chiodo”. Gli mostrò poi una perizia medica che attestava la morte del giovane attivista, sottoposto in carcere – dopo esservi entrato esente da patologie – ad efferate torture, in seguito ad arresto cardiaco. “Ma quale essere umano non è dichiarato morto quando il suo cuore smette di battere?” ribattè il sindaco del vasto comune sopra Bolzano. A fare emergere i gravi atti di violenza commessi allora nelle caserme dei carabinieri e nelle prigioni del Sudtirolo nei confronti dei detenuti politici, fu il senatore Marco Boato. Promotore di una commissione parlamentare istituita “per appurare  i fatti di  rilevante gravità istituzionale che si sarebbero verificati in Alto Adige alla metà degli anni ’60”,  si occupò approfonditamente della questione sudtirolese di allora,  valutandone i suoi molteplici aspetti. Ma non fu il solo ad interessarsi del destino di quel popolo oppresso. Lungo è l’elenco di chi, appartenente al  gruppo etnico italiano, si è  meritato, per la sua  rettitudine, il rispetto dei sudtirolesi di lingua tedesca. Tra essi il questore di Bolzano, Renato Mazzoni. Fu osteggiato dai suoi superiori nello svolgimento delle proprie funzioni, trasferito d’autorità, perseguitato, fino ad indurlo al suicidio, perché colpevole di rispettare il popolo sudtirolese, la sua lingua – che aveva voluto imparare per meglio interloquire con l’altro gruppo etnico –, la sua cultura. Per perpetuarne il ricordo nel 2010 gli è stata intitolata la piazzetta di Bolzano di fronte all’Eurac.
Un riconoscimento purtroppo tardivo, ma che oggi gli rende onore.

Marco de Tisi




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